Torre Orsaia è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 295 sul livello del mare, al punto di confluenza del fiume Bussento, con l’affluente Sciarrapotamo. Il nome è composto da “torre“, costruzione molto usata in epoca medioevale, e da “orso“, animale molto presente in epoca romana. Nei documenti del Quattrocento il paese era identificato con il nome di Turris Pulsaria. In latino il verbo pellere (da cui deriva la parola pulsaria), significa respingere e con una traslazione di significato potrebbe essere interpretato come “combattere”, verbo che ben si confà alle funzioni di una torre che è comunque spesso usata per la difesa. Questa deduzione ha portato alcuni a credere che il nome non sia un composto di torre e di orso, bensì di torre e del verbo latino pellere.
La storia di Torre Orsaia ha inizio intorno alla metà del secolo undicesimo, all’epoca del condottiero normanno Roberto il Guiscardo, quando le incursioni dei pirati, la malaria e la distruzione di Policastro operata dallo stesso Guiscardo (1065) spinsero le popolazioni costiere a spostarsi verso zone più interne del territorio; venne così a costituirsi un primo centro abitato nella Terra Turris Ursajae. Il luogo su cui attualmente sorge Castel Ruggero, poi, considerato di grande importanza strategica già dai Longobardi, ospitò intorno al 1150 un accampamento di truppe di Ruggero II il Normanno (da cui il nome Castra Roggerii). Nel 1301 monsignor Pagano, Vescovo di Policastro, deciso a far valere i propri diritti feudali sul territorio della Diocesi, ordinò la costruzione di una sede estiva dell’Episcopio a Torre Orsaia, ed emanò un bando nel quale prometteva, a tutti coloro i quali avessero voluto prendere dimora vicino al Palazzo Vescovile, terra a sufficienza per una casa, una vigna, un orto e un pagliaio, dietro pagamento di un’imposta detta pregata. Come abbiamo detto, nel 1301 un nucleo abitativo, per quanto piccolo, esisteva già: il bando di monsignor Pagano e la redazione dei Capitula terre turris ursaye, un codice legale che regolava la convivenza civile e i rapporti della popolazione con il Vescovo-Barone, servirono unicamente a ratificare situazioni e usanze che si erano oramai consolidate nel corso di due secoli.