Magliano Vetere è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 650 metri sul livello del mare. Il primitivo nucleo abitativo della comunità era situato sulla riva destra della foce del fiume Alento. Tale testimonianza è fornita da notizie di varia estrazione storica e da una diffusa tradizione orale. Probabilmente una popolazione stanziatasi sulla fascia costiera, tra le varie, provenienti dalla Grecia e dal Medio Oriente, per evitare le frequenti scorrerie di altri popoli e predatori che arrivavano dal mare, cercò rifugio all’interno risalendo il fiume suddetto, che in quei secoli era persino percorribile con piccole imbarcazioni, secondo l’assunto di Cicerone. Lo stesso fenomeno, d’altra parte, si verificò anche lungo il fiume Calore, che lambisce l’altro versante del territorio comunale, sulla sponda del quale, in contrada Trenico, tra Laurino e Magliano, sono stati rinvenuti i resti di tombe create con mattoni di spessore identico a quelli usati a Velia e a Paestum. Non sembra convincente la derivazione del nome dal termine “Malleus“, il martello o il maglio usato per battere su pali e su cunei. Invero, questa seconda ipotesi troverebbe una giustificazione nel fatto che, quando, in epoca medioevale, si costituirono le università (i comuni), l’univeristà di Magliano adottò, nel suo stemma ovale, il simbolo dei martelli. Questa antica popolazione, come altre, ad un certo punto della sua storia abbandonò il territorio occupato in origine, oggi conosciuto col nome Verduci, arrampicandosi verso le cime delle colline e dei monti retrostanti, per proteggersi dalle incursioni dei Barbari, divenute frequenti dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C. Nacquero, così, due nuclei abitativi: uno sul monte Ceglie e un altro su una collina a poca distanza (l’attuale Magliano Nuovo), ma, in sostanza, si trattava di una sola popolazione.
La prima cappella, di recente restaurata, ricorda le vicende della Vergine di Siracusa (283-303), che, regnando Diocleziano, fu denunciata dal suo stesso fidanzato e condannata, prima alla prostituzione e poi al rogo, da cui uscì indenne, per morire poi di spada. I locali sotterranei della Cappella stavano per essere adibiti a cimitero nei primi anni dell’Ottocento, dopo la legge Napoleonica introdotta nel Regno di Napoli, ma la cosa fu in vario modo evitata. Decisamente più caratteristica si presenta la Cappella rupestre di Capizzo, dedicata a S. Mauro Martire. La leggenda fa risalire la vita e il martirio del Santo al tempo dell’Imperatore Diocleziano (284). Dai sentieri che si inerpicano fino alla punta dei massicci calcarei, si godono panorami di straordinaria vastità: da un versante lo sguardo si può spingere sino al golfo di Agropoli e all’isola di Capri; da un altro è possibile ammirare una vasta serie di paesi che si adagiano sulla valle del Calore e ai piedi della lontana catena dell’Appennino meridionale e del Cervati. La sorpresa paesaggistica del viaggio nelle gole del fiume è costituita dalla presenza del ponte di Pietra Tetta. Si tratta di un enorme masso calcareo, che, cadendo dalla montagna, si è adagiato sul fiume, di traverso, creando un ponte naturale utilizzato per passare da una sponda all’altra. Nei dintorni di questo luogo, la roccia, scavata dalle acque nel corso dei secoli, presenta figure e disegni che evocano nella mente immagini mitiche di mostri e di meandri misteriosi di caverne primitive. Tutta questa ininterrotta formazione rocciosa può essere fatta risalire all’ultimo periodo e sistema dell’era mesozoica, caratterizzata, appunto, dalla presenza di molluschi e rettili e dalle piante angiosperme.In questo regno lontano ed appartato si possono rinvenire escrementi di lontra e si possono incontrare colonie di cinghiali e, da un pò di tempo, anche di caprioli. E’, insomma, un territorio che si colloca al centro del Parco Nazionale del Cilento e che, giustamente, l’UNESCO ha dichiarato patrimonio universale.